Il filo che unisce la Germania nazista, con il medico Dominic Klammer implicato nei programmi di “morti compassionevoli” di igiene razziale, e l’Argentina della dittatura di Videla, con la repressione, le torture e le sparizioni di migliaia di persone, è intuibile e non sorprende. Ma il valore di questo romanzo si fonda sulla parola, sulla capacità di raccontare, di portare il lettore con efficacia e abilità nella Berlino bombardata dai russi, così come nella Buenos Aires impaurita e clandestina dei ribelli Montoneros. Due storie lontane nel tempo si contrappongono, alternandosi nell’intreccio di Cinzia Tani, che costruisce un romanzo storico e umano confermando il suo talento narrativo.
Cristina Torres si lega a questi due universi, quello della memoria e quello del presente, lasciando i ghiacciai della Patagonia, dove lavora come guida, e inoltrandosi in un percorso di scoperta della verità, che la porta a rivedere tutte le certezze con le quali era cresciuta. Buenos Aires la accoglie nella casa dell’amica Manuela, e nei tanti segreti e misteri di una vita a cui non era abituata, e che rischia di annientarla.
Scopre la vera storia della sua famiglia, e di quel padre adottivo così affascinante e ingombrante, scopre il tradimento, scopre la debolezza del cuore umano, il dolore e l’impotenza, amici che si rivelano nella loro meschinità e nuovi personaggi che entrano nella sua vita, tutta da ricostruire.
È un vortice questo libro, pregevole nel quadro storico, forse un po’ sbrigativo nel finale, dopo una certa lentezza che sembra essere una scelta ben precisa, di chi vuole guidare la lettura e il pathos a piccoli passi verso la verità più scomoda, con colpi di scena ben calibrati. Il vero capolavoro è offerto dai ghiacciai di Ushuaia, la città alla fine del mondo, tersi, immacolati e maledettamente pericolosi, terreno per gente esperta: è lì che Cristina si sente veramente al sicuro.