In una divisione del male non più in senso oppositivo, ma diviso su tre livelli (Assoluto, condizionato e completamente assente) si muove il puro, che corrisponde al semplice: Gian Maria, in una parola, logica sillogistica mescolata all'ossessivo compulsivo di un corpo che si impone con la sua fragilità. Quanta sofferenza! Non tanto nella descrizione di maltrattamenti subiti, ma nell'incapacità e nello stesso tempo nello sforzo sovrumano e quasi divino di far emergere la verità.
Il puro disperatamente si muove tra gli incompresi, perché incompresi sono gli altri.
Incomprensibile è il male gratuito finalizzato al lucro, al volgare accumulo di ricchezze. E Gian Maria vince, vince quando balbetta, vince quando si inceppa nell'errore, vince quando subordina il suo linguaggio a quello degli altri denigrandoli e chiamandoli con il loro nome. Circondato dal fallito, dalla cessa, dalla vecchia perennemente insoddisfatta, dal buono incapace e vigliacco. Lui li chiama tutti con il loro nome e vince. Unico suo alter ego Chiara alla quale riesce a dare lui stesso la forza di non cedere al cielo e di decidere finalmente per il suo bene. Dunque, non una storia di passività, ma una terribile storia di resistenza, che produce talvolta nello spettatore una strana identificazione con quelle manie compulsive che vorremmo reprimere, ma che infine, sono l'indice di una umanità estrema, ma viva, reale, unica, dentro e fuori. Unico cedimento alla memoria... la voce della madre... forza ultima, che salva dal gesto estremo. Fortuna nostra!