"Simu e Pùarcu" conduce una doppia indagine: il caso archiviato e mai risolto della morte di Santino Panzarella, del quale non è mai stato ritrovato il corpo, e il tentativo di analizzare il contesto entro cui si compie il delitto di mafia. Un teatro che cerca verità e giustizia, ma soprattutto consapevolezza. Storie di Calabria che possono essere lette in chiave universale, per conoscere e riconoscersi. Con questo spettacolo si chiude un cerchio, il terzo monologo di una trilogia che racconta la – Dramma in lingua Calabra) famiglia nelle sfaccettature più atroci e agghiaccianti. Ancora una volta Colosimo mette in luce il tema familiare in MI un’accezione allargata alle dinamiche n’dranghetistiche: una famiglia nella famiglia, che si riunisce nel ventre di una campa gna per l’uccisione di un maiale, una ritualità dovuta, quasi necessaria, legata alla tradizione più arcaica e contadina.
L’uccisione di un “Pùarcu” che seve a sfamare bocche fameliche e a dare sostentamento per gli anni futuri. Forte risulta la contaminazione del mito di Atreo, che in questo testo viene rivisitato e travestito, dipinto e manipolato ad arte. Il mito che si intreccia fortemente con la vendetta familiare, “sangue chiama sangue”, portata alle estreme conseguenze nella sua ripercussione sui discendenti. Una gestione del potere basata sui tentacoli parentali, dove tutti hanno dei ruoli da rispettare e che anela a tenere le cose sempre uguali. Anche questa volta la vendetta come unico spiraglio, unica soluzione per lenire la rabbia. Le regole sono chiare: chi sbaglia paga. Ma anche chi non sbaglia non è immune da colpe.