PAPARAZZI (1996)
(o cronaca della nascita di un sole abortito)
Siamo all’alba della fine del mondo o alla fine di noi stessi?
Christian Auger, attore e regista.
In uno scenario al limite dell’apocalisse, dentro una notte che sembra non avere fine, si muovono personaggi – come spesso accade nelle piéce di Visniec – definiti non con nomi propri bensì oggettivati attraverso alcune loro peculiarità: l’uomo con la custodia di violoncello, la donna a piedi nudi, l’uomo che ha vissuto la sua nascita come una caduta. Sullo sfondo una festa, cui parteciperà tutto il bel mondo, che Paparazzo 1 e Paparazzo 2, fotografi mercenari, si preparano a immortalare per sempre: alla ricerca dello scoop, della sequenza perfetta. Incuranti di quanto nel frattempo sta accadendo – il sole sta nascendo o scomparendo? – anestetizzati dall’immediato, dal quotidiano, colto nella sua ferocia e nella sua bellezza, primari e comprimari di questo mondo sulla soglia di una catastrofe, compiono azioni senza un pensiero: tutto è veloce, tutto è macinato dentro una macchina oliata per
salvare – apparentemente- solo chi riesce a tenere il passo della sequenza perfetta. Ai margini e fuori dai bordi la voce del cieco, unico personaggio in cerca di un contatto, in grado di tessere ancora fila di umanità e senso. Servendosi in ugual misura del tragico, del comico, dell’assurdo e del grottesco – cifra stilistica che accompagna gran parte dei lavori di Visniec che offrono spesso vertiginosi cambi di registro – l’autore disegna qui non tanto una fotografia del reale, spesso impossibile a cogliersi, quanto l’agire degli uomini. Un agito spesso depauperato di senso critico, automatizzato, disumanizzato, su cui trionfa la perdita totale di empatia ed umanità: un deserto segnato dallo scorrere del tempo in cui a provare nostalgia e sentimenti sembrano essere provocatoriamente non più gli uomini in carne ed ossa bensì gli oggetti, capaci di parlare un linguaggio che si è perso.