IL COMUNISMO SPIEGATO AI MALATI DI MENTE
Clic, clac, plouf.
Perché questo è l’uomo.
Anni ‘50, Russia, i mesi antecedenti la morte di Stalin.
Yuri Petrovski, scrittore, viene chiamato all’ospedale psichiatrico centrale di Mosca per una singolare missione: spiegare i valori del comunismo ai malati di mente così che nessuno nella società ne rimanga escluso. Matei Visniec racconta in questo testo gli anni del regime con il suo stile acuto, poetico e grottesco. Nonostante aleggi il fascino di quella fantastica Utopia - una parola che si forma nella bocca e si ferma alle stelle - Visniec denuncia il clima di terrore di quegli anni di dittatura in cui si anela alla libertà ma dove nessuno è più libero e tutti sono potenziali delatori, dove l’altro è spesso un nemico di cui, solo instillando il sospetto, si può decretare la condanna a morte. Si arriva ad avere paura di se stessi, dei propri pensieri e del potere sovversivo delle parole che, libere come nessun’altra cosa, possono inoltrarsi in terreni pericolosi. Ed ecco che in un gioco di specchi gli unici davvero liberi dalle catene del terrore sembrano essere proprio loro, i malati mentali, gli unici a intuire che il comunismo è un aereo bellissimo, una macchina all’apparenza perfetta destinata inesorabilmente a cadere portandosi dietro migliaia di vittime.
Non c’è giudizio nell’opera di Vişniec perché sono i fatti stessi a parlarci. Non c’è intenzione di una ricostruzione storica, quanto piuttosto il punto di vista di chi quei regimi li ha subiti. E soprattutto c’è il punto di vista di un artista che ha potuto restituire attraverso il suo teatro libertà di parola e memoria a chi ha sofferto un destino peggiore. Sempre con quello sguardo trasversale che nella leggerezza indaga la natura più profonda dell’uomo. Mi interessa – ha detto in un’intervista - comprendere la bestia che convive con l’uomo, e perché l’uomo diventa bestia.