ovvero
L’Attrice, la Santa, la Puttana
Tre monologhi per tre attrici, diversi per temperie e stile, che tra il giocoso e l’apocalittico, indagano sullo stato dell’arte scenica, della religione, della corporeità, ma soprattutto sull’amore che le donne donano alle loro passioni, artistiche, spirituali, fisiche.
I tre monologhi accomunati sotto quest’unico titolo, nascono da momenti e ispirazioni diverse, ma tutti indagano dei lati del femminile che nella nostra cultura rappresentano in qualche modo degli archetipi. Il primo, l’attrice, esplora il mondo del teatro attraverso le parole di una delle figure più rappresentative della scena italiana, Eleonora Duse, ma non solo lei, grandissima interprete che tra otto e novecento rivoluzionò la recitazione in Italia. Con l’esplorazione del suo copioso epistolario ci addentriamo nella psiche dell’attrice per arrivare a fare un ritratto dell’attrice tout court: la ricerca del personaggio e del proprio stato interiore, il momento delle prove, la messa in scena, in un unico atto d’amore immenso verso l’arte teatrale.
Nel secondo un’anonima suora, in un mondo ormai alle soglie del disfacimento, (oggi quanto mai vicino!) reclama il contatto col suo Dio che però inesorabilmente tace. Anche questo un atto d’amore, mistico, spirituale, fino al punto da spingere la spiritualità a farsi desiderio, dapprima mentale e quindi fisico. Ma Dio continua a tacere, lasciandola sola, in preda alle sue angosce e alle sue domande.
Il terzo, in un’atmosfera giocosamente aretiniana, (su cui la pièce si fonda), l’amore è finalmente corporeo, in un’esplosione dei sensi e in un’esuberanza fisica e verbale in cui una cortigiana racconta la sua iniziazione, senza risparmiare doppi sensi, lazzi burleschi ed esplicite ammissioni. Un monologo rutilante e divertente che chiude il trittico in un finale allegro e spensierato.