La Ciociara, un romanzo, un film: la madre, la figlia, lo stupro… Tutto questo è diventato memoria collettiva. Riproporre oggi La Ciociara in teatro per me significa ripercorrere la memoria di un incubo che al risveglio lascia l’amaro in bocca, un senso di solitudine; lo spettacolo inizia con un “Dopo”. Dopo, quando l’acutezza delle sensazioni che si provano durante l’emergenza finisce e la piccola vita tutti i giorni frantuma l’esistenza in mille piccole fastidi, chi ha come Cesira vissuto un ritorno alle origini solide e contadine della propria cultura, non potrà più adattarsi e sarà condannata alla solitudine.
Ecco allora affastellarsi nella mente i ricordi, le persone, gli episodi di un’odissea che culmina con l’episodio dello stupro della figlia Rosetta.
Ma non c’è riscatto; mancano gli strumenti culturali per andare oltre il groppo in gola, oltre il fatalismo: “Tutta colpa della guerra”. Michele il giovane intellettuale, può spendere inutilmente il suo fiato; piccolo Pasolini ciociaro, per farci comprendere la parabola di Lazzaro, gli risponderà l’italietta che canta “Stessa spiaggia stesso mare”.